Lo smart working resisterà al post-emergenza?

Se ancora non ci sono certezze sulla road map che dovrebbe portare alla fine delle restrizioni imposte dal Covid, un punto fermo è stato fissato: il prossimo 31 marzo scade, e non sarà prorogato, lo stato di emergenza che ci accompagna dal marzo del 2020. Una decisione che avrà un impatto sostanziale sul mondo del lavoro: infatti, con la chiusura dello stato d’emergenza, viene meno anche la possibilità per le aziende di attivare il cosiddetto lavoro agile emergenziale, che nella prima fase del lockdown ha consentito a quasi 6 milioni di persone di lavorare da casa.
12/10/2022

 

Se ancora non ci sono certezze sulla road map che dovrebbe portare alla fine delle restrizioni imposte dal Covid, un punto fermo è stato fissato: il prossimo 31 marzo scade, e non sarà prorogato, lo stato di emergenza che ci accompagna dal marzo del 2020. Una decisione che avrà un impatto sostanziale sul mondo del lavoro: infatti, con la chiusura dello stato d’emergenza, viene meno anche la possibilità per le aziende di attivare il cosiddetto lavoro agile emergenziale, che nella prima fase del lockdown ha consentito a quasi 6 milioni di persone di lavorare da casa. Come si è spesso ripetuto in questo periodo, quello sperimentato in questi due anni è stato più un telelavoro che un vero e proprio lavoro agile, come definito dalla legge 81 del 2017, ma il punto è che milioni di lavoratori italiani hanno toccato con mano una modalità di organizzazione del lavoro e del tempo del tutto inedita, ma molto gradita. Secondo gli ultimi sondaggi, solo il 14% degli italiani vorrebbe tornare totalmente in presenza, a fronte di un 33% che vorrebbe mantenere completamente il lavoro da remoto e un 53% a favore di una modalità ibrida fra casa e ufficio.

 

Indietro non si torna

 

Il 7 dicembre 2021, associazioni di categoria e sindacati hanno siglato un protocollo nel quale affermano la positività di questa modalità di lavoro e chiedono che possa continuare. La Pubblica Amministrazione ha invece già fatto un passo indietro nello scorso mese di ottobre, ripristinando il lavoro in presenza come modalità ordinaria. Il problema sta nel fatto che lo stato di emergenza consentiva all’azienda di decidere unilateralmente l’applicazione del lavoro a distanza, mentre la legge che lo norma prevede che si debbano firmare accordi individuali azienda-dipendente che stabiliscano le modalità di organizzazione del lavoro, garantiscano il diritto alla disconnessione e fissino gli obiettivi che il lavoratore deve raggiungere. Per poter continuare il lavoro a distanza le aziende dovrebbero quindi firmare accordi individuali entro il prossimo 31 marzo: ecco perché molte realtà hanno già cercato di risolvere il problema con la contrattazione collettiva.

 

L'impegno del Ministero

 

Il ministro del Lavoro Orlando, accogliendo le richieste di Confindustria e sindacati, ha promesso di individuare una soluzione che semplifichi il passaggio al lavoro agile post-emergenza. Dovrebbe quindi essere consentito di predisporre modelli standard con cui raccogliere le adesioni dei dipendenti e fare poi un invio cumulativo al ministero. Resta valido il fatto che l’azienda non potrà imporre il lavoro a distanza, che il lavoratore avrà comunque diritto a recedere dalla sua scelta e che questa non inciderà in alcun modo sulla parte salariale, di benefit o di progressione di carriera. Le questioni formali non esauriranno però quelle sostanziali: il lavoro agile, così come stabilito dalla legge del 2017, implica un livello di autonomia e un lavoro per obiettivi (e non con un orario prefissato) che supera il semplice telelavoro e che richiede un ripensamento radicale delle modalità organizzative. Dal 31 marzo si potrà quindi capire quanto del tessuto produttivo italiano avrà colto il senso profondo di questa rivoluzione organizzativa e quanto lo smart working potrà davvero diventare il nuovo modello di lavoro e di vita.

 

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